Secondo dei dati della Commission europea del 2017, in Italia circa 20 milioni di conigli allevati per la loro carne sono tenuti in gabbie minuscole, non più grandi di un foglio A4, e prive di qualsiasi arricchimento ambientale.
Le problematiche dell’allevamento in gabbia
Tenere i conigli confinati in gabbia impedisce loro di esprimere i loro comportamenti naturali più fondamentali, come drizzarsi sulle zampe, nascondersi, fare balzi e rosicchiare. Al riguardo si è espressa anche l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, sostenendo che la maggiore problematica per i conigli allevati è la restrizione del movimento.
I conigli sono una specie timida, che vive con stress l’impossibilità di nascondersi e ripararsi. A differenza di quanto accaduto con altre specie domestiche, l’addomesticamento dei conigli è “incompleto” e non è riuscito a eliminare la paura che questi animali nutrono verso gli esseri umani – percepiti come predatori e quindi un’importante fonte di stress per i conigli tenuti in cattività.
A ciò si aggiungono anche problemi di natura fisica: le gabbie reticolate sono anche fonte di un permanente disagio per l’animale e di ferite alle zampe. La reclusione e lo stress, inoltre, causano spesso debolezza ossea e deformazioni scheletriche, compromettendo il loro sistema immunitario e esponendoli al rischio di sviluppare malattie respiratorie e dermatiti alla pelle.
Al momento, non esiste una legge che disponga una dimensione minima per le gabbie. Il risultato è che una gabbia convenzionale (ovvero di batteria) fornisce appena l’1% dello spazio di cui ha bisogno un gruppo di conigli che, in condizioni naturali, coprirebbe una superficie di almeno 50 m2. La situazione non migliora neanche con le gabbie arricchite che, sebbene leggermente più grandi e dotate di una piattaforma sopraelevata, lasciano spazio limitato ad ogni coniglio.
L’impatto sulla maternità delle fattrici
L’allevamento in gabbia impatta in modo diverso sulle femmine allevate per la riproduzione.
I conigli allevati per la loro carne sono stati selezionati per la produzione intensiva con un doppio obiettivo: ottenere nidiate numerose – da 9 a 11 coniglietti per parto – che crescano a ritmo elevato di circa 38-45 grammi al giorno e raggiungano il peso di macellazione in circa 70 giorni.
In questo sistema, le fattrici partoriscono ogni 42 giorni e sono inseminate 11 giorni dopo ogni parto. Questo frenetico ritmo di riproduzione ha un impatto devastante sulla loro salute: le femmine in fase di allattamento hanno un bisogno imprescindibile di un’alimentazione ben equilibrata, in mancanza della quale arrivano a sfinirsi, nello sforzo di nutrire i loro piccoli rispettando la priorità fisiologica data all’allattamento, a scapito delle loro riserve.
In più, il loro istinto materno è costantemente frustrato, non potendo scegliere quando interagire con i cuccioli: è infatti l’operatore che decidere quando permettere loro l’accesso alla nidiata.
Utilizzo di farmaci e mortalità
Come detto poco fa, per le pessime condizioni in cui vivono, i conigli allevati per la loro carne sono soggetti ad ammalarsi con facilità.
Di conseguenza, vengono somministrate loro grandi quantità di farmaci: la loro alimentazione viene integrata infatti non solo con vitamine e minerali ma anche con farmaci, in particolare con numerosi antibiotici.
La somministrazione di farmaci non è sufficiente a tenere sotto controllo l’elevato tasso di mortalità: secondo dei dati dell’EFSA del 2020, si tratterebbe di un intervallo tra il 10-30%. In fase di ingrasso, i disturbi digestivi sono molto frequenti e costituiscono una delle principali cause di mortalità insieme ai disturbi respiratori legati ai batteri, ai virus e ai funghi presenti negli allevamenti.