Pubblicato 08/01/2019
CIWF e Legambiente lanciano una petizione al Ministro delle politiche agricole Centinaio e della Salute Grillo per avviare al più presto un processo per la definizione di un’etichettatura volontaria secondo il metodo di allevamento che garantisca ai consumatori la possibilità di fare acquisti consapevoli. Le due associazioni esprimono, infatti, preoccupazione per la diffusione, sui prodotti di origine animale, di etichette con il claim “benessere animale”, che sono fuorvianti quando non riportano specifiche indicazioni sul metodo di allevamento.
Etichette ingannevoli e claim “benessere animale” - Fra le etichette che compaiono sui prodotti di origine animale quella con il claim “benessere animale” si sta diffondendo molto rapidamente, alla pari di altre indicazioni di vario genere come “fresco di allevamento”, “genuino”, “100% naturale”. Queste etichette destano la preoccupazione di CIWF Italia e Legambiente perché possono ingannare i consumatori sulle condizioni di vita degli animali. Il claim “benessere animale”, in particolare, non dà nessuna informazione sul metodo di allevamento; sapere se un animale è stato allevato in gabbia, in capannoni al chiuso o all’aperto è invece fondamentale, anche per capire il reale potenziale di benessere in cui è stato allevato un animale. A meno che non sia accompagnato da specifiche informazioni, il claim benessere animale può essere riferito indifferentemente a un animale allevato in gabbia, al chiuso o all’aperto. In altri termini, il claim “benessere animale” può essere applicato anche a prodotti provenienti da allevamenti intensivi rendendoli indistinguibili, ad esempio, dai prodotti provenienti da allevamenti all’aperto.
Un danno ai virtuosi e al Made in Italy - Rendendo non riconoscibili i prodotti provenienti da allevamenti all’aperto o, più in generale, da quelli più rispettosi del benessere animale, si penalizzano tutti quegli allevatori che lavorano per dare una vita migliore agli animali, rispettando l’ambiente e la salute delle persone. Le etichette sul benessere animale rischiano così di livellare verso il basso quella qualità del made in Italy che tanto si sponsorizza, soprattutto all’estero.
Il caso dell’etichetta “benessere animale in allevamento” del CreNBA - Un’etichetta per carne bovina e latte e latticini di vacca è molto diffusa oggi nei supermercati e riporta la dicitura “benessere animale in allevamento”. Si tratta di un’etichetta che fa riferimento ad un protocollo realizzato dal CreNBA (Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale). Il protocollo viene applicato sia alle vacche allevate alla posta (cioè tenute legate per tutta la loro vita) che a quelle a stabulazione libera (cioè libere di muoversi, ma sempre e solo in stalla). L’etichetta che appare sui prodotti, però, recita indistintamente “benessere animale in allevamento”. Un esempio eclatante, che purtroppo proviene da un ente governativo, in cui un’etichetta può diventare fuorviante, non dando nessuna informazione sul metodo d’allevamento.
“Per questo motivo - dichiarano Annamaria Pisapia, Direttrice di CIWF Italia Onlus e Antonino Morabito, Responsabile Benessere animale di Legambiente - abbiamo deciso lanciare una petizione per chiedere ai ministri della Salute e dell’Agricoltura di rimediare al più presto a questa situazione, che produce un grave danno sia ai consumatori che anche agli allevatori medio-piccoli più virtuosi. Per fare chiarezza, chiediamo che venga introdotta a livello nazionale un’etichettatura volontaria che indichi il metodo di allevamento. Siamo chiari - proseguono - non può esistere benessere animale negli allevamenti intensivi, sistemi crudeli in cui gli animali vengono privati delle più elementari libertà - a cominciare da quella fondamentale di esprimere i propri comportamenti naturali. Eppure circolano già in Italia etichette con claim “benessere animale” su prodotti da allevamenti intensivi, basate su certificazioni che non tengono in conto il metodo di allevamento. Ciò rappresenta una china pericolosa, volta a mantenere la zootecnia intensiva nascosta agli occhi dei consumatori italiani, sempre più attenti alle condizioni di vita, seppur breve, degli animali allevati a scopo alimentare”.