Pubblicato 22/12/2016
A Natale si sa, se manca il panettone o il pandoro sembra quasi di non festeggiare. E così nel periodo precedente le festività, le aziende produttrici dei golosi dolciumi realizzano colorite pubblicità per promuovere il proprio marchio in un contesto di mercato molto affollato.
E tra le varie trovate, quest’anno ci è saltata agli occhi la reclam di un panettone che, puntando sul concetto di tradizionale, denigra e ridicolizza tutti quei prodotti che di solito vengono consumati da vegani e vegetariani.
Tofu, seitan, alghe sono tutti alimenti altamente nutritivi che possono contribuire a variare la nostra dieta, a renderla più completa soprattutto in un contesto – il nostro occidentale - in cui ridurre il consumo di prodotti di origine animale è diventato un must per questioni di salute, di sostenibilità ambientale e di rispetto verso gli animali.
Detto questo, noi siamo più interessati a capire cosa si intende per uova prodotto da galline allevate secondo la tradizione. Sono uova di galline che razzolano nell’aia oppure galline che vengono tenute in gabbia, in spazi inferiori ad un foglio A4? Il dubbio è legittimo.
Infatti, i dati parlano chiaro: in Italia oltre il 66% delle galline viene ancora allevato in gabbia. Stiamo parlando di circa 32 milioni di animali all’anno. Di questi, circa l’80% è dedicato alla produzione delle uova usate come ingrendiente, come ad esempio, proprio quelle utilizzate nei panettoni.
Inoltre, di norma le aziende che utilizzano uova da galline allevate libere, lo scrivono sulle confezioni perchè è un plus di prodotto distintivo e apprezzato dai consumatori. Dove non c’è scritto nulla invece, molto probabilmente, sono uova di galline allevate in gabbia. Lanciare una pubblicità focalizzata sulla bontà della “ricetta tradizionale” o “ricetta originale” e poi utilizzare uova prodotte da galline tenute in gabbia, all’interno di capannoni intensivi, sarebbe davvero un bel inganno.
Alla parola “tradizione”, “originale” o “da sempre” il pubblico associa prodotti derivanti da metodi tradizionali che rimandano ad un immaginario fatto di fattorie, aie, campi all’aperto dove gli animali possono muoversi, beccare e razzolare in piena libertà. Ma spesso non è così e, purtroppo, anche in questo caso, a rimetterci sono i consumatori oltre che gli animali.