Pubblicato 07/06/2019
Quando parliamo di DOP, IGP e STG ci stiamo riferendo a prodotti normalmente associati alle eccellenze del Made in Italy. In particolare il settore food delle DOP, IGP e STG rappresenta un valore di 14,7 miliardi al consumo (+6,4% sul 2016), con un export di 3,5 miliardi di Euro. Queste denominazioni sono certificazioni di qualità basate sull’identificazione di uno specifico territorio d’origine o sui metodi di produzione, ma cosa assicurano in termini di benessere animale?
Secondo l’indagine EuroBarometro 2016, il 43% dei consumatori italiani sarebbe disposto a pagare di più per prodotti più rispettosi del benessere degli animali. Le etichette sono l’unico strumento che i consumatori hanno per orientare le loro scelte in direzione di un consumo consapevole e informato. Le nostre scelte di consumo hanno un impatto importante e possono fare la differenza per gli animali.
Il punto è che le etichette non solo spesso non contengono l’informazione cercata ma, a volte, sono fuorvianti, possono dare informazioni ingannevoli oppure richiamare un immaginario assolutamente distante dalla realtà. L’etichettatura secondo il metodo di allevamento è l’unico strumento che i consumatori hanno per scegliere un consumo consapevole, informato e più rispettoso degli animali.
Infatti, contrariamente a quanto si pensa, in Italia il 90% degli animali allevati per produrre cibo vive in sistemi intensivi. Solo sulle uova, unico prodotto di origine animale con indicazione obbligatoria del sistema di allevamento in etichetta, noi consumatori troviamo scritto chiaramente “da allevamento in gabbia”.
Pertanto, l’indicazione geografica nell’etichetta non è una garanzia sufficiente per chi voglia fare delle scelte di consumo consapevole in quanto non certifica il benessere animale. Allo stesso modo, altre diciture che vogliono sembrare rassicuranti (come “senza antibiotici”, per fare un esempio) non danno informazioni chiare sulle condizioni in cui gli animali sono stati allevati. Un’etichetta che voglia dare un’indicazione univoca sul benessere animale non può prescindere dall’indicazione del metodo di allevamento.
Indicazioni come “allevato in gabbia”, “a terra”, “all’aperto”, “al pascolo”, etc. rimandano direttamente alla pratica d’allevamento e quindi alla vita dell’animale che è all’origine di quel determinato prodotto. Per questo abbiamo lanciato una campagna in cui chiediamo ai Ministri delle Politiche agricole e della Salute di avviare subito un processo per la definizione di un’etichettatura univoca, volontaria, specie-specifica secondo il metodo di allevamento.