Lunedì 15 febbraio insieme a LAV, Essere Animali e Legambiente abbiamo avuto un incontro di presentazione del progetto di certificazione del benessere animale organizzato dal Ministero delle politiche agricole, Ministero della Salute e Accredia. Purtroppo, quella che speravamo fosse un’opportunità di confronto e dialogo si è rivelata essere una conversazione poco trasparente e lacunosa che ha portato le associazioni coinvolte, compresa la nostra, a esprimere pubblicamente preoccupazione in un comunicato stampa condiviso rilanciato dai principali giornali italiani come il Fatto Quotidiano e Il Sole 24 Ore.
C’è un problema di trasparenza con la certificazione di benessere animale
Il progetto ci è stato illustrato attraverso alcune slide generiche e non abbiamo avuto la possibilità di visionare le bozze dei documenti che descrivono i criteri che regolano la certificazione del benessere animale degli allevamenti, nonostante le nostre ripetute richieste e nonostante ci fosse stato richiesto, in quello stesso contesto, di esprimere un parere in relazione al progetto.
Si tratta di una mancanza di trasparenza nel processo di definizione degli standard che dovrebbero rappresentare un primo passo per un processo di transizione verso sistemi maggiormente sostenibili e rispettosi del benessere degli animali. La certificazione del benessere animale degli allevamenti è, inoltre, il presupposto per un sistema di etichettatura che sia davvero uno strumento di informazione cruciale per aiutare le scelte consapevoli dei cittadini.
Ad oggi, le informazioni che si trovano sulle etichette dei prodotti di origine animale possono essere facilmente fuorvianti oltre a essere molteplici e diverse, generando più confusione che informazione. Purtroppo il progetto che ci è stato presentato non sembra offrire uno scenario molto diverso nonostante il suo obiettivo sia proprio quello di riqualificare le tecniche di allevamento in ottica di miglioramento della sostenibilità dei processi produttivi e per promuovere la trasparenza nei confronti dei consumatori. Un progetto, ricordiamolo, che sarebbe finanziato con i soldi dei cittadini della Politica Agricola Comune e dal Next Generation EU.
I rischi dell’attuale progetto nazionale
Se questa mancanza di trasparenza si associa poi alle gravi carenze che abbiamo riscontrato nel progetto, la nostra preoccupazione si trasforma in allarme: l’impianto generale, per esempio, prevede per i suini solo due livelli, uno al chiuso e uno all’aperto, non favorendo in alcun modo la transizione graduale verso sistemi più attenti al benessere animale per i milioni di maiali allevati in modo intensivo.
Così facendo, inoltre, si continuerebbero a danneggiare gli allevatori che già oggi compiono scelte più rispettose del benessere degli animali non permettendo ai consumatori di avere accesso a informazioni complete.
Per questo, quasi un anno fa, insieme a Legambiente, abbiamo presentato una proposta di etichettatura volontaria su più livelli secondo il metodo di allevamento per i suini e qualche settimana fa, quella relativa alle vacche da latte (link news vacche da latte). Nessuna delle nostre proposte è stata discussa o presa in considerazione durante l’incontro con i Ministeri.
Le nostre richieste
A diversi metodi di allevamento corrispondono diversi potenziali di benessere animale, che dipendono dalla qualità di vita degli animali e dalla possibilità che viene loro data di esprimere i propri comportamenti naturali. Senza queste informazioni in etichetta un progetto di certificazione del benessere animale non può essere considerato tale.
La presentazione a cui abbiamo preso parte potrà essere considerata un primo passo positivo solo se sarà seguita dalla completa condivisione delle bozze dei documenti, finora redatti al chiuso dei ministeri, in un’ottica di trasparenza e accesso necessari per l’effettiva partecipazione della società civile e se almeno le principali osservazioni, pratiche e di buon senso, prodotte dalle Associazioni saranno tenute in debito conto.
Federica di Leonardo, Portavoce CIWF Italia, ha dichiarato:
Il progetto dei Ministeri delle politiche agricole e della Salute e Accredia, sembrerebbe ad oggi un modo per certificare con il claim ‘benessere animale’ lo status quo, quindi i sistemi intensivi, senza dare ai cittadini la possibilità di scegliere, e agli amministratori di stimolare una reale transizione verso sistemi più sostenibili. Basti pensare che non si potrà sapere se le scrofe sono allevate in gabbia o no, o se i suinetti hanno subito la limatura dei denti. Ci auguriamo che i Ministeri e Accredia vogliano tornare sui propri passi, avviando un processo di partecipazione trasparente, per allineare i piani italiani alla prospettiva europea delle Green Deal e della Strategia Farm to Fork