Di seguito una traduzione dell’articolo "Pangolins And Pandemics", dal blog del Direttore globale di Compassion in World Farming Philip Lymbery. Qui l'originale.
Sarebbe difficile trovare un altro mammifero più perseguitato, o più affascinante, del pangolino.
Il 20 febbraio è stato scelto come data per celebrare la Giornata Mondiale del Pangolino. Un’opportunità per noi tutti di richiamare l’attenzione del mondo sulle tragiche circostanze in cui vive questa meravigliosa e unica creatura. Circostanze imputabili agli esseri umani, che stanno portando questa gentile e timida specie verso un’estinzione quasi certa.
Nonostante la presenza di otto specie distribuite nel continente africano e in quello asiatico, sono in pochi a poter affermare di aver visto un pangolino, mammifero con le squame simile ai formichieri e agli armadilli.
Questa creatura detiene il triste record di essere il mammifero più trafficato al mondo. Secondo alcune stime, nel 2019 195.000 pangolini sono stati trafficati per le loro squame (Challender et. al, 2020).
Nei mercati asiatici, la carne di pangolino è considerata una prelibatezza e le sue squame trovano impiego nella medicina tradizionale e nei rimedi popolari per la cura di diversi malesseri, dall’asma ai reumatismi, passando per l’artrite. Sebbene siano costituite da cheratina, la stessa sostanza delle unghie umane, le squame di pangolino sono usate da secoli nella medicina cinese. Il loro valore terapeutico non è mai stato dimostrato.
È difficile immaginare che, secondo l’African Pangolin Working Group, nel corso del solo 2018 siano state ben 48 le tonnellate di squame di pangolino africano intercettate dalle autorità asiatiche. Una cifra che fa riflettere se si considera che ogni pangolino ha solo 70 squame che pesano pochissimo e che queste 48 tonnellate sono solo una parte di tutte le squame trafficate.
I pangolini vittime di traffici illegali devono sopportare immense crudeltà. Dopo la cattura, sono spesso tenuti in cattività per una settimana o dieci giorni senza cibo e stipati vivi dove capita, in sacchetti di plastica o, com’è successo a un pangolino africano, persino in un contenitore pieno di birra fatta in casa. Si possono solo immaginare i modi crudeli in cui vengono uccisi e privati delle squame.
Agli inizi del 2020, il pangolino è stato indicato come elemento chiave nello scoppio della pandemia.
Mentre le origini del Covid-19 continuano a essere oggetto d’indagine, il luogo da cui si sospetta si sia diffuso è il mercato all’ingrosso di pesce di Huanan, a Wuhan, all'interno del quale era presente una sezione di animali vivi con molte specie di animali selvatici e da allevamento. Sebbene si ritenga che il veicolo originale del virus siano stati i pipistrelli, gli scienziati concordano che i virus letali abbiano più probabilità di essere trasmessi da un animale a un essere umano per mezzo di un intermediario, forse proprio il pangolino.
Sono evidenti le forti somiglianze con altri virus emersi seguendo un percorso diverso, ovvero quello dell’allevamento industriale, quali i ceppi altamente patogeni di influenza aviaria e suina. Queste malattie, dagli effetti devastanti, trovano la loro causa nelle condizioni del tutto innaturali in cui polli e maiali, creature viventi, senzienti e che respirano, sono tenuti: ingabbiati, stipati e confinati negli allevamenti intensivi.
I lockdown imposti nei Paesi africani in seguito al coronavirus hanno sì ostacolato il traffico di pangolini, che però non è mai cessato del tutto.
Nonostante la pandemia, il traffico illecito di specie selvatiche è il quarto crimine più redditizio a livello mondiale e contribuisce direttamente alla crisi della biodiversità. Per citare il professor Ray Jansen dell’African Pangolin Working Group:
I pangolini non hanno nemici naturali. Gli esseri umani sono la loro rovina totale
A conti fatti, è importante considerare i pangolini come una specie chiave, legata in modo inestricabile al nostro ecosistema e fondamentale per l’equilibrio della biodiversità del pianeta. Come afferma l’eco-guida Ghislain Ngongo Njibadi, che lavora in Gabon, nell’Africa occidentale:
Se questa specie scompare, sicuramente morirà anche la foresta
È il momento di dire basta all’invasione avida e puramente basata su interessi commerciali di habitat naturali, basta allo sfruttamento e alla persecuzione degli animali sulla base di falsi miti: è il momento di riconoscere che tenere gli animali selvatici e da allevamento stipati in gabbie in condizioni stressanti rappresenta un florido terreno di coltura per le malattie. Che si tratti di un pangolino o di un maiale in allevamento intensivo, le condizioni crudeli in cui vivono non sono solo inumane ma anche una seria minaccia di malattie globali.
Se la pandemia e i pangolini, su cui essa ha puntato i riflettori, ci hanno insegnato qualcosa, deve senz’altro essere che per proteggere gli esseri umani dobbiamo proteggere anche gli animali. Trattare gli animali con compassione deve essere un principio fondante della società sostenibile che dobbiamo creare. Così facendo, salvaguarderemo il nostro pianeta per le generazioni future.