Abbiamo iniziato a occuparci delle vacche allevate per produrre il Parmigiano Reggiano già nel 2016, quando il nostro CEO Globale Philip Lymbery intervistò il Consorzio in merito alle condizioni di vita delle vacche della loro filiera in un capitolo del suo libro Dead Zone. Ne risultò che la stragrande maggioranza delle vacche del Parmigiano non aveva la possibilità di pascolare.
Preoccupati dalle implicazioni di questo “pascolo zero”, nel 2017, abbiamo condotto un’investigazione in alcuni allevamenti della filiera del Parmigiano da cui sono emerse scarse condizioni di benessere animale: ambienti squallidi, strutture spesso inadeguate, animali magri e sovrasfruttati, e, appunto, nessuna possibilità di pascolare.
Non quello che ci si aspetterebbe di trovare nei luoghi dove viene prodotto il latte per fare uno dei formaggi più famosi al mondo, considerato una “eccellenza italiana”.
Per questo stiamo continuando a fare pressione sul Consorzio del Parmigiano: un brand di spicco a livello mondiale può e deve fare di più e di meglio per gli animali!
Vacche legate: una pratica obsoleta e crudele
Attualmente la stabulazione fissa, “alla posta” (in cui le vacche sono tenute legate con una catena e una corda), è una pratica molto comune e rimane il tipo di stabulazione più diffuso in Italia.
Basti pensare che nel comprensorio del Parmigiano Reggiano il numero di stalle fisse è circa il 58% del totale e interessa il 28,5% delle vacche (dati OCQ, 2018).
Dunque, è verosimile che migliaia di vacche del Parmigiano siano tenute legate (il numero degli animali tenuti legati non è mai stato reso pubblico dal Consorzio ).
La pratica della “posta” è pratica obsoleta ma anche crudele, dato che impedisce alle vacche di muoversi liberamente. Restando sempre fisse a una postazione in stalla, le vacche non sono messe in grado di socializzare, fare esercizio e potrebbero anche non essere in grado di compiere semplici movimenti come girarsi.
Abbiamo chiesto al Consorzio del Parmigiano di impegnarsi pubblicamente a eliminare gradualmente la pratica di tenere le vacche legate: tenere permanentemente legato anche un solo animale non è degno di un prodotto che si fregia di essere ‘premium’!
Una terra senza animali?
Praticamente quasi tutte le vacche munte per il Parmigiano Reggiano sono sempre al chiuso e il foraggio viene loro portato in stalla. Nel libro di Philip Lymbery, Dead Zone, i rappresentanti del Consorzio, ammisero che rispetto al pascolo zero “ci sono poche eccezioni, intorno all’un per cento delle stalle”.
Quello del Parmigiano non è un caso isolato: la maggior parte dei quasi due milioni di vacche da latte allevate in Italia passa la vita al chiuso. Il desolante spettacolo della Pianura Padana, punteggiata di capannoni con allevamenti intensivi ma priva di animali al pascolo, spinse Philip Lymbery a definirla “la terra senza animali”.
Il sistema del “pascolo zero” è un vero e proprio sovvertimento dell’ordine naturale che ha tolto gli animali dai campi, spesso per inserirli negli ingranaggi dell’allevamento intensivo.
L’accesso al pascolo è invece fondamentale per il benessere fisico e mentale delle vacche e per consentire loro di esprimere comportamenti naturali.
La nostra richiesta al Consorzio è di mettere in atto un programma per garantire progressivamente almeno 120 giorni di pascolo all'anno per tutte le vacche della sua filiera.
Una tempesta per il benessere animale
Non c’è eccellenza senza coscienza e non c’è ‘alta qualità’ senza alti standard di benessere animale.
I cittadini e consumatori italiani lo hanno capito bene e la sensibilità su questi temi cresce sempre di più.
La social media storm #NotOnMyPasta, organizzata per sollecitare il Consorzio e chiedere un impegno concreto per il benessere delle vacche, ha registrato un’altissima partecipazione e una mobilitazione a livello internazionale:
- Oltre 3500 commenti di protesta su 6 diverse pagine Facebook ufficiali del Parmigiano in varie lingue
- Oltre 2350 tweet con #NotOnMyPasta con un impatto potenziale di 1,9 milioni di utenti
- Centinaia di commenti su Instagram (oltre 400 quelli “sopravvissuti” all’opera di rimozione)
Adesso la palla passa al Consorzio: quanto ancora dovremo aspettare per vedere messo in atto un programma concreto che migliori realmente la vita delle sue vacche? Noi tutti, ma soprattutto loro, gli animali, non possono più aspettare.