Antibiotico-resistenza: cosa farà l’UE per contrastare i superbatteri?
Pubblicato 23/11/2022
Traduzione dell'articolo di opinione di Olga Kikou, pubblicato originariamente sul Brussels Times il 17 novembre 2022.
Oggi, la maggior parte di noi dà per scontato di poter avere accesso, attraverso i nostri sistemi sanitari, ad antibiotici efficaci da utilizzare per qualsiasi cosa, dalle piccole operazioni di routine alle terapie salva-vita nei casi di tumore. In occasione della settimana mondiale di sensibilizzazione sugli antibiotici, è importante ricordare che dal 1945, quando gli antibiotici sono diventati disponibili per l’uso di massa, sono state salvate milioni di vite e l’aspettativa di vita è aumentata in molte parti del mondo.
Purtroppo, queste terapie salvavita rischiano di essere messe a repentaglio dall’uso sistematico di antibiotici negli allevamenti intensivi. Più facciamo uso – e abusiamo – di antibiotici, più gli agenti patogeni sviluppano una resistenza antimicrobica e i trattamenti un tempo efficaci smettono di funzionare. “Meno è meglio” è il miglior principio guida per l’uso degli antibiotici, o l’alternativa sarà rischiare un'enorme perdita di vite umane.
Un esempio è la colistina.
Viene utilizzata come terapia di ultima istanza nei pazienti affetti da patologie mortali che non possono essere trattate con altri antibiotici. Facendo parte della classe di farmaci delle polimixine, la colistina è classificata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità tra gli antibiotici di importanza critica a più alta priorità. Tuttavia, viene utilizzata anche nei suinetti per trattare la diarrea che sviluppano quando vengono allontanati dalle madri troppo in anticipo rispetto a quanto previsto dalla natura. Questa pratica assicura che la scrofa generi più suinetti, con la massima frequenza possibile. Gli scienziati hanno individuato un chiaro legame tra l'uso della colistina nei suini e la resistenza agli antimicrobici.
Questi due usi della colistina sono ugualmente importanti? Possiamo davvero permetterci di compromettere l’efficacia di un antibiotico salvavita solo per massimizzare il numero di suinetti partoriti da una scrofa?
Il mese scorso, un’importante rivista medica, The Lancet, ha riportato che nei 53 Paesi della regione europea, che comprende l’UE, l’antibiotico-resistenza è associata a oltre mezzo milione di decessi. Nel 2019, l’antibiotico-resistenza è stata responsabile di più decessi a livello mondiale rispetto alla malaria e all'HIV insieme.
Le infezioni antibiotico-resistenti non possono essere contenute da confini geografici. Per questo motivo sono considerate una minaccia globale dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha riconosciuto l’antibiotico-resistenza come “una delle principali cause di morte in tutto il mondo, con il maggior impatto nei contesti più poveri”.
Questa constatazione aiuta a mettere le cose in prospettiva. Il consumo di carne è limitato nella maggior parte dei Paesi al di fuori dell’UE, con una media globale annua di circa 35 kg a persona.
Questo dato è in netto contrasto con la media europea di quasi 70 kg. Considerando che oltre il 60% di tutti gli antibiotici viene somministrato agli animali, è evidente che l’elevato consumo di carne nell’UE contribuisce ad accentuare le disuguaglianze sanitarie a livello globale.
L’UE si è impegnata a ridurre del 50% l'uso di antibiotici per gli animali allevati a scopo alimentare e per il pesce allevato in acquacoltura entro il 2030, e ha aggiornato la propria legislazione di conseguenza. Si tratta di un buon inizio, ma non basta a risolvere il problema.
L'UE ora deve sviluppare sistemi alimentari sostenibili a livello globale che non dipendano dal continuo abuso di antibiotici e altri farmaci. Deve inoltre adottare misure per garantire la riduzione del consumo di carne e di altri prodotti di origine animale, in linea con gli obiettivi per un’Europa più sana e sostenibile definiti nello European Green Deal e nella strategia Farm to Fork.
È inoltre indispensabile che ogni Stato membro dia piena attuazione alla legislazione europea aggiornata. L’esperienza dimostra che le aziende agricole possono eliminare quasi completamente l’uso di antibiotici abbandonando i sistemi di allevamento intensivo, dove gli animali sono rinchiusi in gabbie o stipati in spazi ridotti.
Diversi Paesi, tra cui la Svezia, hanno ridotto drasticamente l’utilizzo di antibiotici migliorando le condizioni di vita degli animali negli allevamenti, ad esempio dando più spazio a ciascun animale, aumentando i livelli di igiene negli allevamenti e lasciando che i cuccioli restino più a lungo con le madri.
Paesi come la Finlandia e l'Islanda hanno eliminato completamente l’uso della colistina negli allevamenti. Adesso, l’utilizzo di colistina negli allevamenti deve essere vietata e la Commissione europea deve includerla nel prossimo elenco aggiornato di antibiotici riservati all’uso umano.
Nel frattempo, l’antibiotico-resistenza continua a mietere vittime. Un giorno non lontano, noi e i nostri cari potremmo aver bisogno di una terapia antibiotica, per poi renderci conto, forse troppo tardi, che non fa più effetto. L’allevamento intensivo mette in pericolo la vita delle persone. Per gli esseri umani, così come per gli animali negli allevamenti, è tempo di mettervi fine e di passare a sistemi meno intensivi, che non dipendano dall’uso e abuso di antibiotici. Allo stesso tempo, l’antibiotico-resistenza è un’altra ragione per cui bisogna cambiare le nostre diete, riducendo significativamente i prodotti di origine animale e sostituendoli con alimenti sani a base vegetale.
Olga Kikou è la direttrice di Compassion in World Farming EU