I Paesi più ricchi – Italia inclusa – consumano troppa carne e troppi prodotti di origine animale, trascinando l’intera umanità verso l’orlo dell’estinzione. Non si tratta di allarmismo, è un avvertimento che altre associazioni come la nostra e la comunità scientifica lanciano ormai da anni, nonché l’oggetto del nostro ultimo report More money, more meat (Più soldi, più carne).
Per sopravvivere come specie umana, è necessario che i principali consumatori riducano in maniera importante – e senza indugio – il consumo di carne e prodotti di origine animale: ma di quanto? Il report di Compassion in World Farming cerca di dare una risposta a questa domanda, inquadrando per la prima volta non solo quali sono i Paesi che consumano di più, ma anche di quanto dovrebbero ridurre il loro consumo di carne, uova, pesci e prodotti ittici e prodotti lattiero-caseari.
Dieta mediterranea? Non proprio
Nonostante la nostra cultura culinaria mediterranea preveda un apporto ridotto di prodotti di origine animale, l’Italia si posiziona all’ottavo posto fra i principali consumatori di questo genere di alimenti.
Il nostro Paese è una delle 15 nazioni dell’Unione europea ad essere stata annoverata fra i principali 25 consumatori di prodotti di origine animale al mondo, dopo Finlandia (2°), Spagna (3°), Portogallo (5°), Svezia (6°) e Francia (7°).
Il prodotto di cui l’Italia deve maggiormente ridurre il consumo, di quasi tre-quarti, è proprio la carne. Nel dettaglio, il consumo italiano deve ridursi del 69% per la carne, del 53% per i prodotti lattiero-caseari, del 30% per il pesce e altri prodotti ittici, e del 58% per le uova.
Il punto di arrivo di questa riduzione è quello suggerito dalle linee guida della EAT-Lancet Planetary Health Diet (la Dieta per la salute del pianeta di EAT-Lancet).
Insieme siamo più forti
Ma è possibile ridurre il consumo di questi prodotti e salvaguardare così il nostro futuro sul pianeta? E come possiamo fare? Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato alla conferenza Extinction or Regeneration, che si è tenuta a Londra l’11 e 12 maggio e ha visto la partecipazione di circa 700 rappresentanti provenienti da 37 Paesi.
Durante la conferenza si sono toccati molti punti: il benessere degli animali e il loro diritto a una vita degna, le conseguenze della perdita di biodiversità, la necessità di tutelare il suolo e l’ambiente, di prevenire nuove pandemie e contrastare l’antibiotico-resistenza, le profonde diseguaglianze che esistono nel mondo, la necessità di costruire un nuovo rapporto con la natura, gli animali e fra di noi. Un rapporto costruito su rispetto e gentilezza.
La conferenza è stata anche un’occasione di dialogo con tante altre realtà con cui condividiamo lo stesso desiderio di un mondo più sostenibile e più giusto. Attiviste e attivisti, rappresentanti delle Nazioni unite, esperti e anche il mondo imprenditoriale: per sventare il rischio che corriamo e attuare un reale cambiamento sistemico abbiamo bisogno delle voci e del contributo di tutti gli attori coinvolti.
La strada davanti a noi
Come affermato da Jane Goodall – nel video-messaggio proiettato in apertura dei lavori – per sfamare la popolazione mondiale in modo sostenibile, c’è bisogno di un sistema di allevamento che “lavori con e non contro la natura”.
L’attuale sistema di produzione alimentare, infatti, non è efficace a nutrire la popolazione mondiale, tutt’altro. Come spiegato da Olivier De Schutter, co-direttore di IPES-Food e Relatore speciale delle Nazioni unite su povertà estrema e diritti umani, esso ha fra i suoi ingredienti principali la diseguaglianza: favorisce il profitto di grandi aziende, pesando sui Paesi più poveri, mentre crea squilibri anche nel Nord del mondo. Quante persone sono costrette a scegliere alimenti di bassa qualità, “cibo spazzatura”, perché questi hanno un costo più accessibile del cibo sano?
“La fame nel mondo – ha detto Rattan Lal, scienziato del suolo e vincitore nel 2020 del World Food Prize, – è una tragedia creata dall’essere umano. È necessario che la carestia e la fame globale e la carestia di massa diventino politicamente intollerabili, moralmente tossiche, eticamente impensabili e umanamente inaccettabili”.
Un cambiamento radicale e sistemico
In questi giorni è emerso con chiarezza l’obiettivo condiviso: un cambiamento radicale e sistemico, che può avvenire solo se sempre più persone provenienti da diversi parti del mondo e realtà faranno sentire la loro voce. “L’unico modo per cambiare le cose è non essere passivi – ha sostenuto l’attivista e studioso Raj Patel – ma diventare partecipi di una trasformazione radicale.”
Per questo cogliamo l’occasione per ringraziare le migliaia di persone che ci sostengono, usando le parole del nostro CEO globale, Philip Lymbery:
Grazie per far parte di questo bellissimo movimento, un movimento che sta salvando il futuro per gli animali, le persone e il pianeta.