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Torna la peste suina africana

News Section Icon Pubblicato 09/08/2024

suini ammassati inun allevamento intensivo

Alla fine dello scorso mese, il ministero della Salute ha annunciato la presenza di sei nuovi focolai di peste suina africana in altrettanti allevamenti, incentrati al nord, fra Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte.  

Questo, purtroppo, si traduce in una terribile conseguenza: sono ripresi gli abbattimenti di gruppo di suini, a volte – come denuncia la giornalista e autrice di Food for Profit, Giulia Innocenzi – condotti anche con metodi crudeli e dolorosi, come la scossa elettrica alle tempie. 

Cos’è la peste suina africana 

La peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali selvatici in tutto il mondo, dimostrandosi spesso letale per gli animali infettati. Il virus che la provoca è innocuo per le persone, ma difficile da combattere. Infatti, eradicare la malattia può richiedere diversi anni poiché non esistono né vaccini né cure 

La malattia si manifesta, in genere, con febbre, aborti, emorragie e morte improvvisa. Il contagio può avvenire attraverso il contatto diretto con animali infetti, indiretto da ingestione di prodotti ricavati da animali infetti e con indumenti, veicoli o attrezzature contaminati. Dove presenti, le zecche molli infette possono essere un ulteriore veicolo di diffusione. 

Purtroppo, per via dell’assenza di vaccini e terapie, le misure adottate prevedono l'abbattimento degli animali infetti o sospetti tali. 

La situazione in Italia 

Nelle ultime settimane, l’allarme PSA è tornato a suonare in Italia, e in particolare in quelle zone del Paese dove si concentrano la maggior parte degli allevamenti di suini, per la quasi totalità intensivi 

si vedono suin in un allevamento intensivo, uno alza lo sguardo verso l'obiettivo

La situazione italiana è in questo momento anche sotto l’osservazione della Commissione europea, una cui missione di veterinari (il Veterinary Emergency Team) ha mosso delle critiche e raccomandazioni: le regioni interessate agiscono senza coordinamento, si dà troppo rilievo alla caccia dei cinghiali selvatici, che deve essere considerato uno ‘strumento’ e non la soluzione, e ci sono eccessivi ritardi nella costruzione delle recinzioni. 

Già lo scorso anno, il terribile virus aveva provocato la morte e abbattimento di migliaia di suini e cinghiali. Un eccidio che non aveva risparmiato neanche i suini ‘d’affezione’, come accaduto agli animali che si trovavano in un santuario in provincia di Pavia. La vicenda aveva creato sgomento e indignazione fra moltissime persone per via dei metodi crudeli e violenti usati per abbatterli da parte delle forze dell’ordine, che erano intervenute con maniere forti anche verso i volontari del rifugio e i manifestanti. 

Un disastro annunciato 

Continueremo a ripeterlo finché il messaggio non sarà chiaro ai decisori politici: consentire il confinamento di animali a migliaia in spazi chiusi è un disastro annunciato e deve essere fermato. 

L'allevamento intensivo non solo costituisce il terreno perfetto per la proliferazione di virus letali, ma, in caso di epidemie come questa, comporta sofferenze e morte per un numero enorme di esseri senzienti. Allevare un gran numero di suini a stretto contatto, infatti, significa doverne abbattere in gran quantità in caso di epidemie, e questo è uno dei motivi per cui il sistema intensivo deve essere abbandonato a favore di modelli più rispettosi del benessere e della salute degli animali, delle persone e del Pianeta. 

In Italia, gli allevamenti di suini sono concentrati in aree limitrofe, con numeri di animali molto elevati: un mix letale per gli animali esposti a virus letali come la PSA. 

Non c’è alternativa: dobbiamo porre fine all’allevamento intensivo. 

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